Nonostante avesse appena sei anni, i genitori di Giorgio, lasciavano spesso il piccolo a casa da solo.

Allora lui, ormai abituato, inventava mille giochi; non aveva amici immaginari, no, a quelli non aveva mai voluto ricorrere, ma cercava di divertirsi come poteva.

Era sempre alla scoperta del mondo che lo circondava, che poi tra l’altro era un piccolo mondo. Non poteva uscire, quindi le esplorazioni erano limitate a uno spazio ristretto, racchiuso tra le pareti di quell’appartamentino di città.

Quel giorno l’avventura l’aveva portato in camera dei genitori, mamma e papà non avrebbero permesso che lui entrasse, ma proprio per questo le sue più belle giornate di gioco erano vissute in quel locale.

Aveva ricevuto una soffiata: doveva catturare dei banditi che avrebbero rapinato la banca (l’armadio) alle 12 in punto. Doveva solo aspettare con la pistola in pugno, all’ingresso, perché era troppo pericoloso entrare, a quell’ora le banche sono affollatissime, e non poteva permettere che le pallottole colpissero i clienti.

Si acquattò vicino alla porta e aspettò. La porta, di quelle a specchio (era proprio lo specchio dell’armadio), non faceva vedere all’interno, ma ogni volta che qualcuno entrava, Giorgio (il tenente Giorgio) poteva vedere all’interno.

Fino a quel momento nulla. Forse la soffiata era falsa?

Ma ecco avvicinarsi due tipi sospetti, con occhialoni scuri… Entrarono.

Sbirciò all’interno. Poteva vedere i due banditi all’interno in piena azione. Il cuore allora cominci a battere all’impazzata.

Era pronto. All’improvviso le porte si aprirono e uscirono i delinquenti. La sparatoria si concluse con la cattura dei rapinatori, che feriti alle gambe erano immobilizzati…

Ma qualcos’altro aveva attirato lo sguardo di Giorgio, le porte aperte dell’armadio erano affacciate l’una all’altra e gli specchi che erano incorniciati sulle ante creavano un’immagine affascinante.

Il riflesso più volte ripetuto dello specchio opposto, riproduceva un corridoio lunghissimo, infinito.

Giorgio era attirato da questo corridoio, tanto che alla fine ebbe l’impulso di entrare…

Fu una cosa normale, anche incamminarsi nel cunicolo fu semplice.

Giorgio camminava, camminava, ma non cambiava nulla. Intorno a lui era sempre uguale. Infinite porte tutte uguali, se non fosse per il colore e per un numero. Quella galleria lo stava quasi per soffocare.

All’improvviso decise di aprire una porta, quella davanti a sé. Una attimo di esitazione poi Giorgio rimosse quest’ultimo ostacolo che lo divideva da … ma da che cosa? E se dall’altra parte ci fosse stato qualcosa di brutto, mostri, draghi?

Fece per tornare indietro, ma la curiosità lo trattenne. Girò la maniglia e di fronte a lui si parò uno spettacolo famigliare.

Si trovava nel centro della sua città, e infatti tra la gente riconobbe suo zio Gino.

Anche zio Gino lo riconobbe e gli si avvicinò: “?oigroiG olos ad orig ni iaf asoC”, borbottò.

“Cosa?”, chiese Giorgio che non aveva capito nulla.

Ci fu un attimo di disorientamento; nessuno dei due si capiva.

“?oigroiG iggo ,ilrap emoc aM”, sempre più misteriosamente disse Gino.

“Ma non ti capisco Zio! Aiutami per favore, cosa sta succedendo?”, piangendo supplicò Giorgio, a quello che sembrava suo Zio.

Zio Gino, vedendo piangere “suo nipote”, anche se non capiva un acca o meglio un acca, di quello che diceva, turbato lo abbracciò, parlandogli ancora in quello strano modo

Quando riuscì a consolare il bambino, lo portò verso casa sua, che non distava molto dal punto in cui si trovavano.

“?osseccus è asoC”, disse allo stesso modo Marisa, la moglie di Gino, appena i due entrarono in casa.

Il resto del discorso è altrettanto incomprensibile.

Quindi Giorgio, che stava cercando di raccogliere le idee, si disse che quello in cui si era ficcato, era un brutto guaio. Sicuramente quella era la punizione dei genitori per non aver ubbidito. Non doveva entrare nella camera e, tanto meno, uscire di casa. “Punito!”, pensò.

Non capiva nulla, eppure aveva già sentito altre lingue, avendo suo papà comprato la parabola, con cui vedeva programmi da tutto il mondo, ma mai aveva sentito nulla di simile.

Si domandò, in preda ad un altro attacco di panico, se quelle persone, così uguali a Zio Gino e Zia Marisa, fossero veramente Zio Gino e Zia Marisa, o anche se non gli stessero tirando uno scherzo.

“?eneb itnes it noN ?iah’soc am, oigroiG”, scandendo bene le lettere, disse Marisa. Non si capiva nulla ugualmente.

“Non capisco!”, gli gridò Giorgio.

Attimo di silenzio, i due si guardarono, poi vide Marisa, o chiunque fosse, andare verso la libreria, e prendere quella che sembrava un libro di medicina.

Adesso gli zii consultavano il libro, bofonchiando fra di loro. Scuotevano la testa guardando prima le pagine, poi Giorgio.

La scena andò avanti ancora per tanto, poi sconsolata, Marisa dicendo qualcosa a Gino prese il telefono.

“? erottoD otnorP”, parlando nella cornetta, seguì una lunga conversazione che finì con un parola detta sospirando “!eizarG”.

Altro scambio di parole fra gli zii, e sorriso diretto a Giorgio.

Poi Marisa, preparò un the, e lo porse al nipote.

Dopo poco lo squillo del campanello fece sobbalzare tutti. Era il dottore, con la tipica borsa. Visitò il bambino, e soprattutto lo fece parlare.

Nemmeno il medico però parve capire cosa stesse succedendo, infatti parve dire che non capiva.

Poi d’improvviso ebbe come un’illuminazione.

Guardò Giorgio sorridendo e gli indicò il tavolo, e sembrò chiedere al piccolo come si dicesse.

“Tavolo”, disse Giorgio.

“Tavolo, olovaT”, gli rispose il dottore.

Indicò la sedia, “Sedia”, di rimando.

“Sedia, aideS”.

La cosa andò avanti per alcuni minuti, poi il dottore indicò Giorgio.

Giorgio, cercando di capire cosa il medico additasse, tentò “Giorgio…”.

“!onos iC. Giorgio, oigroiG”, provocando negli zii un moto di stizza.

“!aicsevor alla ilraP “, esclamò felice.

“Come, non …”, lo guardò stupito Giorgio.

“contrario alla parli Tu”, cercò di spiegare il dottore.

“Contrario?” chiese Giorgio.

“Si”, gli rispose.

“Voi parlate al contrario!”, ingenuamente rispose Giorgio.

Non fu immediata la risposta, il dottore doveva interpretare ciò che aveva detto il piccolo.

“Noi parliamo non uguale”, non proprio convinto, replicò il dottore.

Gli zii che si erano tenuti a distanza si erano spazientiti, chiedevano spiegazione. Seguì il chiarimento del luminare.

Poi il medico chiese: “Cosa è ti successo?”.

“Come?”, rispose Giorgio.

“Cosa è successo oggi, perché parli così”.

E proprio mentre Giorgio stava per rispondere, entrò in casa un bambino uguale a lui, così uguale che sembrava specchiato.

Giorgio e oigroiG si quardarono sospettosi, stupiti e ci furono due domande:

“Chi sei?” e “?ies ihC”.

Fu chiaro allora che non era oigroiG che si sentiva male, ma erano due persone ben distinte quelle che erano davanti agli occhi sbigottiti di tutti.

E Giorgio allora cominciò a parlare, e spiegare quello che gli era successo, e lo fece piangendo.

Fu accompagnato allora verso il punto da cui lui era entrato nella città, uscito dal tunnel.

In effetti c’era una porta a specchio.

Fu aperta e dentro un tunnel procedeva all’infinito, non se ne vedeva la fine.

“Ti accompagno”, fece il dottore rivolto a Giorgio.

Entrarono, non prima dei vari saluti, baci e abbracci stile film, in corridoio lunghissimo, mano nella mano.

C’erano mille porte però, e difficile era ritrovare quella giusta, quella che riportava Giorgio nella sua stanza.

Il sospetto, e la paura, del medico, era che ogni porta di quel corridoio, si aprisse e rivelasse un mondo misterioso. Magari da qualche parte c’era gente che camminava a testa in giù, o che rideva al posto di piangere. Ci potevano essere persone che … Insomma, mondi ambigui, o anche pericolosi.

Ma Giorgio, dopo qualche tentennamento, riconobbe la porta, colorata di azzurro e col numero 12. Era quella che si apriva sul suo mondo.

La porta del mondo del dottore era invece verde col numero 21.

La aprì e vide, con sorpresa ma anche con felicità mamma e papà, che lo stavano cercando terrorizzati.

Lui saltò in braccio a papà e si svegliò.

Era stato solo uno strano sogno?!?

Decise da quel giorno di non avvicinarsi mai più alla camera dei genitori, anche se furono molte le tentazioni. La calamita un giorno lo avrebbe attirato …?

31 Ottobre 1996

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