Introduzione
Guerra…
A nove anni è difficile sapere cosa voglia dire questa parola.
Un bambino, è evidente, non può rendersi veramente conto della gravità di un evento così drammatico.
Alcuni fatti però sono rimasti impressi nella memoria di chi, anche senza aver assistito a vere e proprie battaglie, era spettatore involontario del conflitto.
La vita continuava quasi allo stesso modo, ma la sola presenza di truppe di militi, di tedeschi o di partigiani, poteva scatenare terrore in un bimbo indifeso.
Tratto da ricordi reali di mio padre, conditi da alcuni fatti di fantasia, ecco come possono aver visto la guerra gli occhi di un fanciullo.
Dieci di mattina.
A quell’ora Nino era già al pascolo con le mucche alla “Pianozza”, un alpeggio che sovrasta Calasca.
La vita era faticosa, e nelle valli montane si sopravviveva appena, perciò anche un bambino doveva eseguire dei compiti. Suo dovere era quello di curare le bestie per non farle avventurare nei prati di altre famiglie, un lavoro che non gli piaceva, era noioso, e spesso lasciava le bestie incustodite, per girare tra i boschi.
Ma adesso le cose erano diverse, c’era una cosa brutta che da un po’ era arrivata: “La Guerra”.
“Stai attento a quello che succede intorno e torna subito a casa se vedi persone armate…”, era stato avvertito, ma a lui era difficile capire.
Aveva già visto le armi, ma fino ad allora nessuno gli aveva detto di scappare se vedeva un cacciatore… non capiva proprio.
Era una bella giornata, e bello era vedere le montagne, dall’altra parte della valle, contrastare il cielo azzurro. Era un sereno che veniva dopo un temporale che aveva raffreddato un poco la temperatura, così per non sentire troppo la brezza Nino, si era sdraiato sull’erba con un filo d’erba in bocca, un occhio alle mucche e l’altro al fondo valle.
Una giornata normale, come tante altre, se non fosse per un gran movimento sulla strada; quella mattina aveva già visto passare parecchi camion. Non che gli dessero fastidio o lo impressionassero più di tanto, anzi si mise a scrutare il nastro di terra polveroso attendendo altri passaggi, e proprio mentre si stava appisolando, ecco arrivare altri due autocarri accompagnati da tre camionette e una motocicletta su cui si intravedevano persone armate e vestite con strani vestiti tutti uguali tra il grigio scuro e il nero, sulla testa strani copricapi, quasi come delle padelle, simili a quegli elmi che aveva visto in testa ai cavalieri medievali sul libro di scuola. Era curioso vedere come, scendendo dai mezzi, tutti si schierassero ordinatamente al comando di un signore con un vestito leggermente diverso ed un cappello al posto dell’elmo.
Poi ad un tratto non ci fu più nessuno, tutti erano corsi su per le mulattiere, chi verso Calasca, altri verso Antrogna, ma quello che era più importante che tutti avevano un fucile tra le mani. Sembrava una battuta di caccia, “Cercano un animale…”, pensava Nino mentre li guardava ancora incuriosito, dimenticandosi degli avvertimenti dati dai genitori.
Intanto le mucche continuavano nel loro lento movimento spostandosi alla ricerca di erba tenera, ma era diventato un particolare poco interessante per Nino, tutta la sua attenzione era puntata verso ciò che accadeva sotto di lui.
Ed ecco i primi “cacciatori” arrivare in paese.
“Che strano perché scappano tutti?” si diceva Nino proprio quando il campanile suonava le dodici.
Dopo aver raccolto le mucche che con la sua disattenzione si erano leggermente allontanate, si mise sotto ad una pianta dove aveva legato ad un ramo lo zaino con il “pranzo”, che non era null’altro che minestra di verdure fredda avanzata dalla sera prima.
Ma proprio mentre si apprestava a sciogliere il nodo che teneva appeso il fardello sentì un fischio sopra la sua testa, e poi altri ancora.
Girandosi verso valle vide che quei cacciatori stavano mirando verso di lui, “Vogliono colpire il mio pranzo!”, e si buttò a terra un occhio ai fucili ed uno alla bisaccia.
E i colpi continuavano ed ogni botto era accompagnato da un sibilo. Sapeva che erano i proiettili a fischiare.
La fame e la paura intanto si mischiavano e non facevano che accrescere l’attenzione verso la minestra distante pochi metri ma così irraggiungibile.
Poi d’un tratto tutto tacque.
Le mucche erano scappate ma la prima cosa che fece fu quella di prendere lo zaino e rifugiarsi dietro un albero per vedere se tutto fosse ancora a posto.
Verificata l’integrità del pentolino si mise nervosamente a mangiare sempre con un occhio verso il paese.
Solo allora si ricordò degli avvertimenti dei genitori, “Torna subito a casa se vedi persone armate!”, gli avevano raccomandato, sovvenne la paura. Non voleva tornare in paese, per il timore di trovare quegli uomini che gli avevano sparato, ma nello stesso tempo sapeva che i genitori sarebbero stati in pensiero, il terrore comunque vinse e decise di non rientrare a casa. Cercò una stalla dove potersi nascondere con le mucche, che erano anche da mungere. Non era compito facile visto che le baite erano quasi tutte occupate in quel periodo, in attesa di andare ai pascoli alti, per cui dovette spingersi fino all’alpe “Incin”, dove c’era una stalla semi diroccata di uno zio andato in guerra.
Con la mungitura, ebbe anche da mangiare, anzi da bere per la sera, e poi si mise fino a notte fonda a scrutare casa sua, che dall’alto era tanto piccolina, immaginando suo padre che doveva sicuramente essere in pensiero.
Alla fine, sconsolato, si preparò un giaciglio nel fienile.
Ma proprio mentre stava per accucciarsi vide una testa sporgere da dietro un trave: due occhi lo fissavano.
Spaventato si issò di nuovo in piedi ma l’uomo che lo stava guardando già da un po’ gli sorrideva.
“Chi sei?”, chiese Nino, ancora abbastanza turbato.
“Cecco, chiamami Cecco, hai visto salire gente quassù?”, rispose l’uomo.
“No, non mi sembra, ma… ma cercavano lei, quelli… quelli che sparavano?”, balbettando chiese il bambino.
“Si, ma sono riuscito a scappare, sono un partigiano, e quelli sono uomini cattivi che cercano me e i miei amici”, e dopo queste parole apparvero altri tre uomini, poco più che ragazzi, che si erano nascosti tra il fieno. C’era Michi alto e biondo, Bruno il più piccolo e spaventato e Tobi il veterano nonché comandante del gruppo. Tutti nomi di battaglia. Avevano parecchio da mangiare e ne offrirono a Nino, che rassicurato mangiò come un lupo, facendosi raccontare alcune storie dai suoi nuovi amici.
Dopo una nottata passata abbastanza tranquillamente, si risvegliò che si vedevano appena le prime luci dell’alba.
Michi, Tobi e Bruno erano già andati, ma su un biglietto c’erano i loro saluti.
Verso mezzogiorno ecco arrivare Dante. Nino, vedendo suo padre corse verso di lui a testa china, sicuro di dover subire la solita punizione, aspettò la reazione, che inaspettatamente fu diversa da quella immaginata: Dante lo prese tra le braccia e lasciando da parte la rudezza dei modi, lo baciò in fronte dicendo: “A tuma spiciò par tuta la noc, cum ti stei?” (Ti abbiamo aspettato tutta la notte, come stai?).
“Ben… a o mia fac qul che ti me dic…” (Bene… Non ho fatto quello che mi hai detto…) e piangendo raccontò la storia.
Dante poi raccontò che erano arrivati i militi fascisti con i tedeschi e che stavano cercando i partigiani.
Il giorno prima i partigiani avevano fatto saltare un furgone dei fascisti e, questi infuriati stavano cercando i colpevoli.
Nel corso del rastrellamento li avevano visti a “Incin”. Gli spari erano diretti a loro, ma non riuscendo a colpire i fuggiaschi, per rappresaglia i fascisti avevano ucciso il prete che li aveva aiutati a fuggire.
E la parola “guerra” si fece di colpo più chiara agli occhi di Nino.
(Agosto 1997)