Don, Don, Don, Don….

E’ mezzogiorno in punto e con puntualità quasi svizzera si sentono i rintocchi della campane del paese.

Nelle vie c’è la rituale chiusura dei negozi.

Gli uffici si svuotano.

I bambini della scuola escono correndo affamati verso le loro case.

Profumi tra loro differenti si mescolano, accentuando l’appetito dei passanti.

C’è un’aria quasi di festa quando scoccano le dodici, tutti sono contenti di sentire qui dodici tocchi.

Genoveffa invece non lo è nemmeno un po’. A lei tocca lavorare di più sia alle dodici che alle ventiquattro. A lei piacciono le ore piccole, dice che le pesano di meno.

In effetti il lavoro di Geny, come tutti la chiamano, non è dei più simpatici. Nemmeno nei giorni di festa riesce a riposarsi, anzi deve lavorare di più.

Vive in una torre, la più alta del paese ormai da parecchi anni. E’ nata altrove, ma subito l’hanno portata in questo paese.

E’ un borgo medievale, e la sua dimora, una delle torri del castello, domina il villaggio.

Da lassù si può godere di una vista magnifica.

Tutte le mattine si sveglia e dalla sua finestrella si specchia nel lago che occupa gran parte della valle. Tutto intorno le montagne impediscono di vedere oltre, ma donano spettacoli indescrivibili.

In tutte le stagioni lo scenario cambia. Le cime bianche dell’inverno, lasciano poi il posto a quelle colorate della primavera. L’estate riempie di verde la vallata, ma subito l’autunno cambia il panorama con le sue tinte. Anche il lago subisce l’influenza delle colorazioni dei monti che lo circondano.

La fortuna di Genoveffa è di vivere nella parte antica della città, dove il fiume crea angoli magici. Alla sera poi, quando la sua abitazione è tutta illuminata, e le viuzze si riempiono di coppiette, il suo lavoro è meno pesante, se si distrae guardando gli innamorati che si tengono per mano e si scambiano un bacio affettuoso sul ponte più bello del paese.

Ed è in quei momenti che Geny sogna, che fantastica.

Vede il suo principe azzurro che la tiene fra le braccia, la accarezza e la bacia. A volte lo riesce a sentire, in lontananza, e le si spezza il cuore sapendo di non poterlo rivedere.

L’ha conosciuto dove è nata, ma quasi subito si è dovuta separare. Le loro strade si sono divise. Si ricorda quella mattina gelida in cui è rimasta sola, sul treno. Il suo lui è sceso una stazione prima di lei. Non si sono più rivisti. Ma spesso si lanciano messaggi di amore, li divide solo lo specchio di acqua.

Però la gente del luogo le fa pesare meno, sia le pene del lavoro che d’amore. Sono tutti lì ad aspettare lei. E lei non delude mai nessuno, è sempre precisa.

Sotto di lei la vita si svolge tranquillamente, si potrebbe dire noiosamente ripetitiva. Ma per lei non lo è affatto. La sua filosofia di vita, le fa cogliere il meglio da ogni istante. E così dall’alto della sua casa ogni evento la arricchisce spiritualmente. Poi ci sono i giorni di festa che, anche se per lei sono faticosi, il fatto di essere circondata da moltissima gente, la rendono euforica. Il divertimento più eccitante, è quando nella chiesa vicina si svolgono dei matrimoni. Quasi tutti sono persone che lei ha visto baciarsi sul “ponte dell’amore”, come lei ha soprannominato. O i battesimi dei figli di quelle stesse coppie.

Don.

Alla una riprende parte della vita nelle vie. Ma è solo alle due che si vede riprendere ogni attività.

Don, Don.

Quel giorno Geny ricevette visite.

Un uomo, accompagnato dal parroco salì fino in cima alla sua torre.

Erano intenti a guardare in tutte le direzioni, ma lei capì che non era per il panorama, avevano uno scatolone con dei fili.

Stavano cercando il punto migliore per fissare un apparecchio nuovo.

“Un nuovo faro, per l’illuminazione notturna”, pensò Geny.

Curiosa si mise a fissare ogni operazione dei due.

Dopo un po’ il parroco lasciò l’uomo ai suoi fili e ai suoi attrezzi.

Questi fissò delle staffe sui quattro lati della torre, poi cominciò ad attaccarci delle strane trombe.

Poi collegò i fili che fece scendere dalle scale, e se ne andò pure lui.

Don, Don, Don.

Erano le tre quando i due ritornarono.

Il parroco esaminò il lavoro svolto, e con un il capo fece cenno di seguirlo.

Non li vide più.

Poco dopo sentì uno strano rumore, e uno strano presentimento la turbò. Un tremore fece accrescere i suoi timori.

Più nulla fino alle quattro.

Tentò di muoversi, ma qualcosa non funzionò.

Sudando ritentò, nulla.

Don, Don, Don, Don.

Non era lei che suonava, i rintocchi uscivano dalle trombe che quell’uomo aveva sistemato.

Ecco cos’erano: degli altoparlanti che emettevano quel suono. Un nastro aveva inciso quei tocchi e quegli strumenti lo amplificavano.

Il suo lavoro capì era finito. Era stata sostituita da un congegno elettronico.

Il progresso aveva colpito ancora.

Purtroppo la sua tristezza aumentò il giorno dopo, quando il concerto di campane, venne diffuso da quei tromboni antipatici.

Lei licenziata, era ferma lì, non poteva più suonare.

Che vita sarebbe stata la sua.

Mentre lei piangeva, gli altoparlanti ridevano. Erano davvero antipatici.

Passò tanto tempo e Geny, sempre più triste, era sull’orlo della pazzia.

Stava lì, senza fare nulla a sentire le risate dei suoi nuovi coinquilini, che lavoravano in allegria.

Ma una notte un temporale si abbatté sulla città.

La furia di quella tempesta dirompeva ovunque. I lampi illuminavano a giorno l’intera vallata.

E i tuoni sembravano colpi di cannoni.

Ed ecco che subito dopo la mezzanotte…

Doon…

Le luci si spengono e Geny svenuta, immobile, rimane al buio, come tutta la città.

Solo dopo parecchio tempo la nostra povera sventurata si risveglia, e vede o meglio non vede, tutto intorno a lei che la città e buia. Nessuna luce è accesa.

Dall’alto vide che squadre di tecnici si muovevano per cercare il guasto. E infatti il danno fu riparato e la luce tornò dappertutto, tranne che sulla torre di Geny.

Rimaneva lì al buio, senza sapere che fare.

Soltanto alla mattina dei tecnici salirono a casa sua a vedere cosa fosse successo.

La cosa più bella è che le trombe erano mute: non avevano più suonato dal temporale.

Un gran movimento per tutto il giorno, ma nulla sempre in silenzio.

Arrivò anche il parroco a rendersi conto, e Geny vide che faceva cenno verso di lei.

Di lì a poco sentì tremare il suo corpo e alle cinque avvenne un fatto per lei insperato.

Uno strattone e …

Don, Don, Don, Don, Don.

Era di nuovo al lavoro.

Le trombe venivano smontate.

Quella sera comunicando con le colleghe vicine apprese che gli altoparlanti erano stati danneggiati dal temporale, e che il parroco, anche dietro suggerimento dei cittadini non aveva nessuna intenzione di ripararli.

Tutto il paese odiava quel suono innaturale, e voleva sentire Geny. Si sarebbero impegnati tutti a turno a sopperire alla mancanza di un campanaro che aveva portato a quella scelta infelice.

E quella esperienza ha dato a Geny più voglia di … “vivere”, e lavora con più passione.

Tutti le vogliono bene e lei li ricompensa con i suoi “canti”, non del tutto intonati ma ricchi di felicità.

(9 Gennaio 1995)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *