Mancata…”, disse Pietro al compagno Rocco.

“Quella è vecchia e furba”, si giustificò Rocco.

Era una bella giornata autunnale, e i due cacciatori Rocco e Pietro avevano deciso di fare una battuta di caccia.

Verso le 8 di mattina, da una tana ben nascosta, si vede spuntare un simpatico musetto.

La bestiola si mise in posizione eretta, voleva scrutare la zona per scorgere i suoi nemici, e quando sicura si allontanò dalla tana, si sentì tuonare.

Un sibilo improvviso annunciava l’arrivo di una pallottola, ed era proprio diretta verso di lei. Vicino un altra marmotta in piedi fischiava per avvertirla del pericolo ma ormai non c’era molto da fare.

Fortunatamente era andata ancora bene, ma Elisabetta La Marmotta l’aveva vista brutta questa volta, e suo marito Luciano era spaventatissimo. L’aspettava nella tana dall’ingresso secondario, con trepidazione. Betta, come Luciano chiamava familiarmente sua moglie, comparve ansimante. Il marito le corse incontro. L’abbraccio durò parecchi minuti, e alla fine tremanti scoppiarono in una fragorosa risata, dovuta più a un fatto nervoso che alla contentezza. Infatti non c’era nulla che potesse rendere felice i due. A momenti la piccola famigliola stava per diminuire di nuovo.

Già la scomparsa del figliolo Enrico, aveva rotto la felicità, quando un fucile aveva fatto cadere come una foglia il piccolo.

Non era più la stessa Betta, ma Luciano era riuscito a risollevarle il morale, con la sua dolcezza e sicurezza.

Questa volta poteva toccare a uno di loro.

Come avrebbero sperato fosse successo a uno di loro al posto di Enrico tempo fa…

“Pietro, aspettiamola ancora, vedrai che questa volta la prendo!”, sussurrò Rocco per non farsi sentire dalla bestiola, come se questa potesse capire.

“Ora provo ad avvicinarmi, tu rimani qui, se esce fammi un gesto”, propose Pietro.

“Va bene, ma non avvicinarti troppo…”.

Così fecero, ma l’attesa fu lunga, e proprio quando Pietro si stava alzando per tornare dal compagno, ecco un corpicino grigio, uscire dalla tana.

Rocco intanto si era distratto e guardava con il suo binocolo la montagna che stava di fronte a loro.

Il fucile era già carico, il dito sicuro sul grilletto, bastava poco e avrebbero portato a valle il loro trofeo.

Ma all’improvviso Pietro sentì un fischio dietro le spalle.

“Accidenti, scappa anche questa volta…”, esclamò.

Ma la marmotta non si spostava e il fischio non si fermava, anzi si faceva sempre più vicino.

Pietro si girò e vide la seconda marmotta, in piedi. La cosa strana è che questa sembrava facesse cenno all’uomo di avvicinarsi.

“Non è possibile, mi sta chiamando!”, sussurrò fra sé e sé.

Ma la sua meraviglia non gli impedì di andare verso chi lo chiamava.

Si avvicinava e la marmotta ferma sulle zampe posteriori era lì che lo guardava. Sembrava tranquilla.

Era a pochi metri.

La marmotta fece cenno, o così sembrò a Pietro di entrare nella tana. Incredibile lui riuscì a entrare, e la guida gli fece strada fra quel labirinto di cunicoli. Le radici della piante gli facevano un po’ solletico ma era molto bello lo spettacolo là sotto. Ogni tanto un musetto si affacciava a guardare incuriosito poi scompariva in una delle diramazioni.

Più si allontanava dall’apertura più il cammino si illuminava.

“Dove mi stai conducendo?”, provò a chiedere l’umano, ma ovviamente non ricevette risposta.

La stanchezza lo stava assalendo e, vista anche la posizione alquanto scomoda, le ginocchia erano indolenzite, ma continuava di buona lena a seguire il roditore, che ogni tanto si voltava a vedere se era ancora seguita. Più volte nei passaggi stretti, nei pressi di rocce o radici, si fermò ad attenderlo.

Poi giunsero in una grotta molto illuminata, eppure non c’erano aperture. La luce gialla donava all’antro un’atmosfera magica.

“Da dove proviene questa luce?” si chiese Pietro, e si avvicinò alla parete.

“Ma non sarà…, ma certo è…, è oro questo! Un immenso filone di oro”, esclamò dalla sorpresa.

E saltellò felicissimo per tutto il perimetro, accarezzando la grotta.

“Grazie, per avermi portato fin qui…”, cercò di dire al suo accompagnatore, ma questo non c’era più.

“Dove sei? Marmottino mio, dove sei?”, un po’ preoccupato mormorò.

Non ricevendo risposta, e non vedendo più la bestiola Pietro incominciò a preoccuparsi e a sudare freddo: non sarebbe riuscito a uscire da quel posto!

“Rocco, salvami”, cercando di chiamare l’amico, ma nessuna risposta neanche dalla superficie.

“Che bel guaio, mi sono cacciato in un pasticcio!”, si disse Pietro.

Non restava che cercare di uscire, nessuno l’avrebbe trovato lì. Imboccò uno dei cunicoli, che sembrava essere quello da cui era arrivato, erano tutti uguali in effetti.

“Almeno avessi segnato il percorso…”, si redarguì.

Dopo parecchio tempo seguendo una probabile via, si ritrovò nella stanza dove la marmotta l’aveva lasciato solo.

“Ohi, Ohi, adesso si fa grave. Non perdere la calma, ragiona Pietro”, ma non c’era niente da ragionare, solo la fortuna l’avrebbe aiutato.

Un secondo tentativo si concluse nella solita grotta.

Ma solo dopo ben cinque prove, Pietro decise di mangiare qualcosa e appisolarsi, per riprendere le forze.

“A volte un sonno aiuta”, si disse, ma non sarebbe stato in grado di risolvere il pasticcio dove si era cacciato.

Fu svegliato da una sensazione di umido sulla faccia.

Una lingua leccava il suo viso, era la marmotta che l’aveva accompagnato lì, forse era tornata per aiutarlo.

E infatti al solito modo gli fece cenno di seguirlo. Ma non andavano verso l’uscita, lo condusse verso un’altra grotta, molto più grossa della prima.

Qui altri animali aspettavano i due. Sembrava di assistere ad un processo: con giudice, giurati e pubblico.

Pietro al centro dell’assemblea e davanti a lui la marmotta più grossa, che esclamò: “Cacciatore…Hai finito di darci fastidio!?!”.

“Ma voi parlate? Non starò sognando? Non potete parlare”, farfugliò Pietro.

“Non siamo noi a parlare, sei tu a capire. E’ questa pietra magica a fare da interprete ai pensieri.”, spiegò il giudice.

“Aiutatemi a tornare fuori! Non posso vivere sotto terra, morirò.”, singhiozzando brontolò alla platea, in cerca di chi l’aveva accompagnato.

“Non uscirai finché non capiremo che lascerai stare tutti gli animali, solo allora ti insegneremo la via di uscita”, sentenziò il capo.

“Non toccherò più nemmeno una mosca ve lo prometto”.

“No, non è vero, la roccia magica, ci dice che non manterrai la promessa, anzi nel tuo animo c’è la volontà di uscire e di ritornare qui fra noi a farci del male. Finché non cambierai, rimarrai qui da noi. Ti daremo da mangiare. Solo quando imparerai a rispettarci, allora uscirai.”

E accompagnarono Pietro in un altra stanza più piccola, che chiusero con radici e sassi. Nessun guardiano alla porta.

Pietro allora decise di scappare.

In superficie intanto i soccorsi erano partiti. Ma di Pietro nessuna traccia. Tutti i burroni furono setacciati, ma niente Pietro non si trovava. Intanto il tempo stava cambiando e minacciava di nevicare. Allora ogni speranza sarebbe cessata. Rocco, il compagno cacciatore, era disperato. Ma non si poteva fare nulla. Anche perché l’accesso alla tana era stato mimetizzato.

Pietro, anche se fuggito dalla prigione, era disperato. Non sapeva dove andare. E in più gli davano la caccia, sicuramente.

Ma così non era, infatti le marmotte, sapendo che non c’era possibilità di fuga, visto che il dedalo non aveva soluzione, erano tranquille.

Alla fine infatti si ritrovò nella sua prigione a piangere.

I giorni passavano, e il cibo, vegetariano, faceva sopravvivere Pietro. La disperazione ormai aveva lasciato il posto alla rassegnazione.

E’ veramente dura per un cacciatore promettere di non fare male agli animali. Lui ogni mattina provava a dire “Mi sono pentito”, ma la pietra magica evidentemente capiva che stava mentendo, perché lo lasciavano sempre imprigionato.

La neve in superficie era caduta, e a valle avevano sospeso le ricerche. La famiglia ormai era consapevole della sciagura, e si aspettava la primavera per ritrovare Pietro. A poco servivano i dubbi di Rocco, che continuava a dire che non si era potuto allontanare troppo in quel poco tempo in cui lui si era distratto.

“Pietro non sa volare…”, diceva piangendo.

In Pietro qualcosa stava cambiando. Non solo l’aspetto fisico, era diventato pallido, per la mancanza della luce del sole, e la barba era lunghissima ormai, ma nella sua testa un pensiero ronzava insistentemente.

Non era ancora pronto però, infatti la pietra magica bocciò anche quella mattina l’esame.

“Lasciatemi andare, ormai sono convinto, non farò più male a nessuno”, aveva detto a chi portava il vassoio del cibo. Niente, ancora lì.

“E se fosse caduto in un buca?”, si chiese Rocco una mattina.

Ma la neve impediva la ricerca, una ipotetica grotta, sarebbe stata impossibile da trovare. Doveva aspettare che la neve almeno calasse.

Non che Pietro si fosse abituato, ma forse la rassegnazione lo stava aiutando. Cercò di tagliarsi la barba con un sasso affilato, ma riuscì solo ad accorciarsela.

“Chissà come facevano un tempo?”, si domandò.

Fortunatamente si era potuto lavare visto che aveva trovato una grotta con un corso d’acqua, altrimenti… Beh meglio non pensarci!

La neve calava, ma non si poteva ancora salire per cercare il passaggio, Rocco aveva immaginato di tutto e non demordeva. C’era solo da aspettare.

“Non ho mai capito nulla della vita, ho sempre fatto del male. Agli uomini ma soprattutto agli animali. Sono crudele, ed ecco che questa fine me la sono meritata. Morirò vittima della mia cattiveria.” pensava Pietro, “Se fossi fuori aiuterei tutti, dall’insetto all’elefante, dal topolino all’aquila.”

Quel giorno fu il capo delle marmotte a portargli il solito pasto a base di bacche e radici. E questo fatto fu veramente strano.

Ma ancora più strano fu quando lo portarono nella stanza grossa dove l’avevano processato.

Qui era riunita ancora l’assemblea.

“Oggi ti porteremo fuori, la roccia ci ha detto di liberarti!”, tuonò il capo, “Non ti ricorderai più nulla di questa avventura, ma adesso che finalmente hai capito il valore della vita, puoi tornare al tuo mondo”.

“Come avete fatto a decidere questo?”, chiese Pietro meravigliato.

“I tuoi pensieri: la pietra magica li ha sentiti, sono meglio di mille parole. Hai sempre detto cose che non pensavi veramente, ma stamattina finalmente il tuo io si è espresso liberamente e abbiamo capito che sei sincero.”

“Si, ho capito cosa devo fare adesso…”, disse l’umano.

“Allora vai, e non tradirci!”, e quella strana assemblea si sciolse.

Rimase solo la marmotta che l’aveva portato nel sottosuolo.

Ora lo avrebbe riportato in superficie.

Rocco aveva atteso fin troppo. Era il momento di agire. La neve era quasi del tutto sparita, e avrebbe setacciato ogni palmo di quel terreno per ritrovare una traccia almeno del suo amico scomparso misteriosamente.

Giunto sul posto si diede un programma. Avrebbe iniziato dal posto in cui l’aveva visto l’ultima volta, e a spirale avrebbe tastato il terreno, spostato piantine, rimosso ogni sasso.

Era quasi fuori, mancava poco, poteva sentire il cinguettio degli uccellini. Gli era mancato. Il vento soffiava, percepiva anche il profumo dell’aria, che entrava nel cunicolo. Ed ecco la luce del giorno. La marmotta era scomparsa. Era solo, ma libero.

Dopo un giorno di ricerca, Rocco aveva già smosso parecchio terreno e, anche se non aveva trovato alcun indizio, era sicuro che presto avrebbe fatto qualche scoperta.

Montata la tenda si autorizzò un riposino.

Ma all’alba qualcosa lo svegliò.

Non riusciva a credere ai suoi occhi. Pietro era dinanzi a lui, con la barba lunga, con vestiti sudici.

Ammiccò per essere certo non fosse un’allucinazione, un miraggio, ma era proprio il suo compagno.

“Rocco, che ci fai qui?”, chiese Pietro.

“Come, che ci faccio. Manchi da un mese. Dove ti eri cacciato?”, di rimando Rocco domandò.

“Non lo so, non ricordo più nulla!” ,rispose Pietro cercando di capire cosa fosse successo. In effetti la pietra magica aveva fatto dimenticare tutto nel momento in cui era uscito da quella buca.

Rocco allora spiegò cosa era successo, e insieme scesero a valle, dove increduli tutti videro comparire i due.

Di quella storia rimane solo un ricordo ora: una pepita che Pietro si ritrovò nella tasca, senza sapere come.

Inutile dire che i due non cacciarono più, ma sono diventati dei bravi fotografi. Riprendono la natura. Pietro ha pure impiantato un ospedale per animali feriti.

Tutti ora sono più felici.

E lassù si sente fischiare Betta e Luciano molto più contenti di prima, solo loro sanno quello che è successo, ma non lo diranno mai a nessuno…

(30 Dicembre 1994)

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